Che i tv-show orientali fossero pericolosi l’avevamo intuito ai tempi di Mai Dire Banzai. Death Tube è qui a rammentarci che neppure il web è sicuro.
Inouye si risveglia in uno stanzino. Al muro un obiettivo, davanti a sè un computer e un cubo di Rubik da risolvere entro dieci minuti. Altrimenti, la morte. E’ su Death Tube, ultima frontiera per i guardoni informatici, sito supercriptato che trasmette in diretta le immagini di malcapitati rapiti e costretti a superare prove disparate per avere salva la vita.
Sotto gli occhi cinici e divertiti di centinaia di utenti che commentano ed interagiscono in tempo reale, Inouye e altre sette persone intraprendono il lungo percorso verso la salvezza. Che i tv-show orientali fossero pericolosi l’avevamo intuito ai tempi di Mai Dire Banzai. Death Tube è qui a rammentarci che neppure il web è sicuro.
Quello che sulle prime sembra un elogio allo snuff si rivela progressivamente una curiosa e surreale rivisitazione della tortura formato-Saw. C’è un gioco mortale, ci sono delle regole e chi le detta: il conduttore è Ponkichi, snervante e grottesco orsettone peluche figlio perverso di Disney, Pokemon e Teletubbies, destinato ad entrare nell’hall of fame dei cattivi più strampalati di sempre. Se, sempre in tema di nuova tecnologia, il bel My Little Eye (2002) la metteva sul business, Death Tube si concentra sullo show più puro.
In perfetto stile orientale, per farcela occorrono cooperazione e rigore, precisione e forza di volontà; e sempre in linea con tale tradizione, le prove sono imbottite di particolari che più trash non si può. Risolvere un cubo di rubik può sembrare un compito più arduo rispetto a un’esibizione forzata con l’hula-hoop o uno slalom saltellante attraverso un percorso ad ostacoli, ma può capitare di peggio, tipo chessò, digitare parti della costituzione in una disperata lotta contro il tempo.
Queste sono solo alcune delle sfide ideate dal pacioso Ponkichi, sadiche più psicologicamente che fisicamente, non dolorose quanto quelle “Enigmistiche” ma assai più lunghe e logoranti.
Lungo è anche il film, che raggiunge con la lingua di fuori (e non senza rallentamenti) le due ore, in un insolito decrescendo di adrenalina che collassa in un finale a sorpresa così così, un po’ posticcio e prostituito alla futura saga. L’accusa voyeuristica fa capolino, ma Death Tube è troppo sopra le righe, buffo e pittoresco per pretendere di rivendicare una filosofia o morale di fondo: dà l’impressione di voler parodizzare ed estremizzare (nel ridicolo) il genere, non di approfondirlo o sviscerarlo. E forse non è una mossa stupida.
Pur con qualche limite – i tempi morti e i logorroici dialoghi tra i partecipanti, principalmente – Death Tube affascina nel suo mix di cupo dolore (il “gioco” e la disperazione di chi ne è protagonista) e pacchiano colore (la sguaiata mascotte e le tragicomiche performances) e funziona abbastanza bene. Funziona anche al botteghino, evidentemente: Death Tube 2 incombe.
About Luca Zanovello
Twitter •