Si leva dal titolo, improvviso e feroce, questo grido ostinato; riecheggia caparbio attraverso ogni pagina, lambendo il silenzio e divorando ogni pausa; infine ricade, estenuato e sconfitto.
Alla mascherata di Prospero s’aggiunse un invitato; al carnevalesco ballo di passioni e rancori, tradimenti e vendette narrato da Marie Corelli un ospite altrettanto inatteso. Il demone che, con il nome di colera, ha colpito a più riprese Napoli, si accinge a sferrare alla città l’attacco decisivo. Siamo nel 1884. Mentre l’epidemia continua a diffondersi e mietere vittime, il conte Fabio Romani, ritenuto erroneamente morto, viene deposto nella cripta di famiglia. Recuperata la piena facoltà dei propri sensi, l’uomo riesce a liberarsi dalla rudimentale cassa di legno e scova un passaggio segreto per lasciare le fredde mura della cappella funebre. Il Cielo appare ben disposto a risarcirlo della macabra sventura: in una bara senza nome – recante unicamente un pugnale dipinto in rosso, segno distintivo di un pericoloso brigante, Carmelo Neri, e della sua banda di furfanti – il conte rinviene un vero e proprio tesoro nascosto, il quasi inestinguibile bottino accumulato in anni e anni di malefatte. Ringraziando il proprio inconsapevole benefattore, Romani progetta il ritorno a casa e alla vita, del tutto ignaro della sorpresa che l’attende: sua moglie Nina, unica donna che egli abbia mai amato, consuma il lutto tra le braccia del suo migliore amico, Guido Ferrari. Lungo il viale che conduce alla villa, nascosto tra i lecci e gli aranci, l’uomo coglie finalmente l’insostenibile verità. Profondamente mutato nell’aspetto dalla terribile esperienza – quella prima, equivoca e “pirandelliana” morte che l’ha portato anzitempo alla cripta – tanto che alcuni semplici accorgimenti si rivelano sufficienti a celarne l’identità, concepisce un piano crudele e geniale per riscattare il proprio onore e ottenere vendetta.
Singolare destino, quello che attende alcuni autori; più capriccioso e volubile, talvolta, del fato irresponsabilmente assegnato agli ignari personaggi. È il caso di Marie Corelli, celebre autrice inglese vissuta a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, parte della cui opera è rimasta a lungo “sepolta viva” nell’indifferenza della critica e dell’industria libraria italiane. Soltanto oggi, a distanza di centoventicinque anni dalla prima pubblicazione, l’editore romano Gargoyle Books propone la traduzione di Vendetta – The Story of One Forgotten, procedendo così nel suo fondamentale lavoro di recupero del gotico vittoriano e tardo-vittoriano.
Amata dal pubblico e ignorata dalla critica del tempo (durissimo, tra gli altri, il giudizio espresso sul finire del secolo da Joseph Conrad, che ricondurrà alla superficialità del gusto popolare l’abilità della scrittrice di introdurre sul mercato autentici bestseller, stampati e diffusi in migliaia di copie) Marie poteva vantare tra i suoi lettori personaggi illustri come Gladstone e la Regina Vittoria. Né mancheranno, in effetti, lusinghieri consensi da parte di autori come James Joyce o, più tardi, Henry Miller. Proprio lo scrittore statunitense, in Dear, dear Brenda, parlerà di Corelli come di un’autrice estremamente sensuale («pur non descrivendo mai rapporti erotici»), citandola in più occasioni e collocandola tra le sue letture preferite.
Vendetta – The Story of One Forgotten fu dato alle stampe nel 1886, subito dopo la pubblicazione di A Romance of Two Worlds. I temi della tumulazione precoce, del post-mortem e del sepolcro violato (consolidati paradigmi del genere e simboli evidenti della rinnovata sensibilità, soprattutto europea, per il macabro e il fantastico degli ultimi due secoli) diffusamente trattati in Poe, vengono qui sviluppati in un’opera di ampio respiro, non disgiunti, ci pare, dalla metodica indagine per le passioni umane portate al loro estremo limite che caratterizza parte della produzione italiana del periodo, principalmente meridionale. Né qui potrebbero finire i richiami, più o meno espliciti. Se gli antecedenti più diretti e palesi del romanzo corelliano, come rilevato da Carlo Pagetti nella postfazione al volume, possono essere facilmente individuati in Dumas e nelle opere della scrittrice gotica Ann Radcliffe, appare doveroso menzionare la ricca produzione di Carolina Invernizio (1851-1916), popolare autrice di oltre cento romanzi pubblicati sulla Gazzetta di Torino e sull’Opinione Nazionale di Firenze. Ripercorrendo le vicende dell’infelice protagonista di Vendetta!, parlare di “morte pirandelliana” può non solo rivelarsi pertinente, ma anche suggerire considerazioni interessanti. Le assonanze con il romanzo apparso a puntate nel 1904 sulla rivista Nuova Antologia (prima di essere stampato in volume e rieditato, nel 1910 e ancora nel 1918, da Treves) appaiono talmente manifeste e singolari da meritare almeno una nota. Ignorando l’eventuale e probabile contingenza che porta le due opere, in alcuni punti, ad essere quasi perfettamente sovrapponibili, possiamo rilevare alcuni curiosi nessi, partendo dal numero tre: sono infatti queste le “comuni morti” che i due protagonisti/narratori affrontano e dovranno affrontare, sfruttando inizialmente l’equivoco e in seguito sperimentando l’inganno, prima della «terza, ultima e definitiva». L’espediente narrativo che consente ai due personaggi di mettere in atto il proprio complesso esperimento (di valore esattamente opposto: distruttivo e segretamente autodistruttivo quello di Romani, di nuova genesi e liberazione nelle intenzioni di Pascal) è innescato in entrambi i casi da un evento accidentale e propizio. La circolarità della vicenda di Pascal, inoltre, che attesta senza possibilità di equivoco l’insuccesso e l’infruttuosità dell’esperimento, è considerata sin dal principio da Romani con insospettabile lucidità; ma qui dobbiamo fermarci, o rischieremmo di svelare goffamente ciò che invece va scoperto leggendo.
All’eleganza e all’armonia del periodo, la prosa corelliana preferisce l’efficacia di una rappresentazione mimetica, fisica o psicologica. Un gusto del dettaglio che non risparmia i particolari più grotteschi: «Nel profondo si nascondono cose disgustose: esseri raccapriccianti e innominabili, vermi lunghissimi, creature viscide con occhi ciechi e ali superflue, aborti e deformità di insetti nati da vapori velenosi…» e ancora: «Non dimenticherò mai com’era la cosa su cui si chiusero le mie dita tremanti! Era attaccata alla pelle, un orrore alato, viscido, che respirava! (…) Chiusi convulsamente le mani sul suo corpo grasso e morbido; lo strappai lentamente dalla mia carne e lo scagliai il più lontano possibile nell’oscurità all’interno della cripta». Curioso e piacevole contrasto, in coincidenza con le ambientazioni di derivazione letteraria, piene di colore e di fiabesca fattura (sempre Pagetti, in nota, suggerisce il dramma seicentesco La duchessa d’Amalfi di John Webster come probabile fonte d’ispirazione). La stessa misoginia del protagonista, che assume non di rado coloriture feroci e deliranti, esasperata dagli eventi ma non da essi originata, è abilmente inserita in un contesto di paradigmi culturali e nella cornice del melodramma ottocentesco.
Giustizia, infine, è stata fatta: non ci riferiamo all’ingegnosa macchinazione del protagonista di Vendetta!, il cui svolgimento e il cui esito lasciamo alla sorpresa e alla meraviglia dei lettori; ma al destino di un’opera. Dietro alle ambigue, oscure maschere che sfilano al Carnevale corelliano, ci sembra finalmente di intuire un sorriso beffardo.
Io che scrivo queste pagine, sono morto. Legalmente morto – le prove sono evidenti – morto e sepolto! Chiedete di me nella mia città natale e vi sarà risposto che fui una delle vittime del colera che devastò Napoli nel 1884 e che le mie spoglie mortali giacciono in decomposizione nella cappella funebre dei miei antenati.
L’AUTRICE
Figlia illegittima del giornalista e poeta scozzese Charles Mackay e di Mary Elizabeth Mills, Mary Mackay (1855 – 1924) mutò il suo nome in Marie Corelli all’età di trent’anni. Dopo l’esordio come musicista, si dedicò alla scrittura a partire dal 1886, con la pubblicazione di A Romance of Two Worlds. Tra i suoi lettori figuravano illustri personaggi come la regina Vittoria, Gladstone, Churchill, il re Edoardo VII e la regina Alexandra. Tra le sue opere ricordiamo anche The Soul of Lilith (1892), The Sorrows of Satan (1895), Ziska (1897) e Life Everlasting (1911).
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