La regia di Franck Richard non brilla di certo per virtuosismo cinematografico e la fotografia di Laurent Barès è sciatta: si può dire che il disastro è completo.
Nel bel mezzo di una nevosa terra di nessuno, Charlotte conosce il viandante Max. I due decidono di fermarsi in un locale a mangiare qualcosa. Dopo cena però l’uomo va in bagno e sembra essere scomparso. E’ l’inizio di un incubo che vedrà la giovane Charlotte armarsi di coraggio e proiettili per sopravvivere.
Il problema de La meute è di cercare di essere tante cose senza alla fine essere niente di così incisivo da emergere nel mare magnum della mediocritas. All’inizio il film di Franck Richard vuole essere un po’ un film alla Calvaire, con questa umanità picchiatella nelle campagne francesi , poi diventa una specie di Non aprite quella porta in versione matriarcale e alla fine sceglie la strada dell’horror splatter con dei mostri un po’ fulciani simili a ghoul mangia cadaveri. Ma non c’è nulla di tanto originale in queste tre anime da permettere alla pellicola di acquistare una personalità degna di nota: sono aspetti superficiali, appiccicati con lo scotch, che non si incontrano mai quasi a creare tre scissioni incolmabili. Eppure La Meute arrivava con una fama di tutto rispetto per un horror, quella di essere iper violento, tanto da essere stato oggetto di censura all’ultimo festival di Cannes. La commissione del CNC (Centre National du Cinéma) aveva infatti chiesto l’interdizione della proiezione pubblica e gratuita del film generando un acceso battibecco sui vari forum internet internazionali di appassionati del genere. Tutto fumo invece: sul piano violento il film è poca roba: un braccio strappato, ma con un effetto terribilmente casereccio, una gamba mutilata, una ferita alla quale sgorga un geyser di sangue e nient’altro. Il film, è bene dirlo poi, si prende tutto il tempo del mondo, anche troppo, per giocare il suo cavallo di battaglia: i suoi mostri mangiatori di cadaveri. Prima del loro arrivo il ritmo non è, come avrebbe voluto il regista, meditativo per una sorta di intimismo nel presentare i personaggi, ma semplicemente noioso. La recitazione poi, a parte, i giovani Benjamin Biolay e Emilie Dequenne, è macchiettistica, sopra le righe, a tratti disastrosa, con punte massime di desolazione con l’arrivo di un gruppo di motociclisti simil Hell’s angels che sembrano usciti da una parodia di Zucker e Abrahams . Ne fanno le spese nel disastro due attori altrove molto bravi come Yolande Moreau e Philippe Nahon qui soffocati da una sceneggiatura che o non da’ loro lo spazio giusto o li relega in siparietti inutilmente bizzarri. L’ultima mezz’ora poi, con l’assedio alla casa dei motociclisti, non ha neppure la giusta tensione che il copione richiedeva generando un senso di insoddisfazione totale. Se poi la regia del giovane Franck Richard non brilla di certo per virtuosismo cinematografico e la fotografia di Laurent Barès, lo stesso di Frontier(e)s e A’ l’interieur, è tirata via, si può dire che il disastro è completo. Da nascondersi per la vergogna.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.