Inception potrebbe terrorizzare per l’intera prima mezz’ora di proiezione, per la calcolata, totale incomprensibilità di quanto succede sullo schermo.
Dom Cobb (Leonardo di Caprio) è un ladro molto particolare, il migliore nella delicata arte dell’intrusione negli altrui sogni e nell’estrazione di qualsiasi segreto alberghi nella mente dei soggetti coinvolti. Ma una missione fallimentare lo obbliga a sottostare alle condizioni del potente industriale Saito (Ken Watanabe), che gli commissiona la più difficile delle operazioni: l’innesto artificiale di un’ idea nella mente di una persona.
L’obiettivo è Robert Fischer Jr. (Cillian Murphy), giovane erede di un impero finanziario, che dovrà essere indotto a smantellare la multinazionale appena ricevuta dal padre. In cambio, Cobb avrà la possibilità di chiudere definitivamente i conti con un passato oscuro e tormentatissimo, e di veder decadere l’accusa d’omicidio che non gli permette di tornare negli Stati Uniti a riabbracciare i due figli: organizzato il blitz insieme ad un team di specialisti del sogno, Cobb entra finalmente nel subconscio di Robert Fisher Jr…
E dire che pensavamo che
Christopher Nolan la propria meraviglia cinematografica sulla definitiva insondabilità della realtà, sull’inganno e sulla sostanza mistificante dell’esistenza l’avesse già girato con
The Prestige. Illusi, per l’appunto. Come dopotutto ci ha indiscutibilmente insegnato lo stupefacente step qualitativo tra il bello
Batman Begins e il mostruoso
The Dark Knight, spesso il materiale che il regista inglese decide di volta in volta di manipolare necessita di tentativi che, ben lontani dall’essere fallimentari, tradiscono alla distanza un’incompletezza di fondo che l’opera successiva va sistematicamente a colmare portando l’argomentazione e le sue forme a nuovi, entusiasmanti livelli di profondità. Summa di una ricerca che potrebbe a questo punto essere considerata la reale macrotematica del cinema di Nolan –
Memento declina sotto un’altra luce e con un altro linguaggio lo stesso interrogativo di fondo –
Inception potrebbe terrorizzare per l’intera prima mezz’ora di proiezione, per la calcolata, totale incomprensibilità di quanto succede sullo schermo, così in contrasto con le enormi aspettative – anche di immediatezza, ormai – che Nolan porta inevitabilmente con sè. Tranquilli, perché nel suo svolgersi
Inception spiegherà tutto ciò che è necessario spiegare, lasciando, come da assunto fondamentale della filmografia di Nolan, parecchie porte aperte, ma disinnescando ogni possibile rischio di comprensibile misunderstanding di un mondo subconscio fatto di regole proprie e di una struttura composta da infinite
scatole cinesi, labirinti foderati di specchi governati ora dalla fantasia dei loro architetti – la brava
Ariadne/Ellen Page di Juno, moderna Arianna che costruisce e quindi conosce i propri labirinti e aiuta il proprio mentore Cobb a uscirne da uno personale, nemmeno così metaforico e dannatamente complicato – ora dalle
ossessioni delle menti che li contengono – Cobb stesso e quel terribile passato che, per quanto ulteriormente rivendicato dall’accompagnamento di Edith Piaf, non ne vuole sapere di risolversi definitivamente-.
Una presunzione di governabilità di una realtà che permette di asservire ai propri scopi le architetture impossibili di
Escher ma che al contempo ci trascina in una Mombasa reale ma altrettanto labirintica, con quel folle e stonato vicolo ad imbuto che rischia di vanificare la disperata fuga di Cobb, elemento così discordante dal contesto che, alla pari del celebre deja-vu dei gatti di
Matrix, sembrerebbe quasi suggerire ulteriori interrogativi sull’effettiva composizione di ciò che chiamiamo realtà. Si cita tutt’altro che a caso
Matrix anche per le meraviglie consentite dalla
CG, con la differenza che nel mondo di
Inception tutto, anche la spettacolarità più puramente visuale e che certamente diventerà un nuovo modello di riferimento nell’arte di stupire – i combattimenti in assenza di gravità di
Arthur/Joseph Gordon-Levitt, Parigi che si arrotola su se stessa, Ariadne che fa esercizio d’architettura – sono sempre e comunque asserviti ad un’urgenza narrativa saldamente in primo piano, elementi fondanti di un meccanismo che altrimenti non sarebbe così preciso e chirurgico. Ma Inception è anche una potentissima
storia d’amore. Anzi, almeno due. La prima, con protagonisti Cobb/Leonardo di Caprio e la moglie
Mal/Marion Cotillard è quella di un’amore folle e impossibile, una storia tra due amanti così bastevoli l’un l’altro da rifugiarsi nei recessi delle proprie menti per viversi vicendevolmente senza dover sottostare ai limiti spazio-temporali della nostra realtà, e forse destinati a rivivere all’infinito, in quella dimensione, un qualcosa che non potrà mai più essere altrimenti. L’altra, meno esplicita ma altrettanto potente, è quella tra Christopher Nolan e il
mezzo-cinema, così ben metaforizzata dalla novella architetta Ellen Page, avatar in scena del regista che, alla pari di Nolan, costruisce mondi immaginifici e apparentemente impossibili che devono rispondere a leggi precise e inflessibili affinché raggiungano il proprio scopo ultimo e altissimo. Se non è questo lavorare con la materia di cui sono fatti i sogni, dite voi cos’è.
Inception
(USA/UK, 2010)
Regia: Christopher Nolan
Sceneggiatura: Christopher Nolan
Interpreti: Leonardo di Caprio, Marion Cotillard, Joseph Gordon-Levitt, Cylian Murphy, Ellen Page
Durata: 148 min.
Distribuzione: Warner Bros