Blood river e Farmhouse sono due diverse facce di una nuova tendenza che tenta di rendere vivo il torture porn.Il torture porn è un genere sterile: nel caso più fortunato ci troviamo nella serie di Saw con almeno una buona fantasia nel creare i vari supplizi ai malcapitati, in quello più svilente nei tanti epigoni in ritardo dei vari Violent shit o Guinea Pig. Però qualcosa si muove tra le calme acque del genere creando prodotti che tentano la strada soprannaturale per vivacizzare la sequela di torture. In questa nuova tendenza si allacciano i nuovi lavori di George Bessudo e Adam Mason. Bisogna dire che i due film, Farmhouse e Blood river, si assomigliano per i temi trattati, per i personaggi messi in scena, ma mentre uno di loro va scelleratamente verso il disastro l’altro se la cava grazie alla bravura del suo autore. Farmhouse, per capirci, è il nadir della coppia, Blood river la ciliegina. Film pieni di difetti entrambi, si intende, ma che sono un po’ come il giorno e la notte in termini di qualità. Blood river di Mason è un film che prosegue per sottrazione, non mette in scena l’orrore (tranne una dettagliata amputazione), si basa molto sui lunghi monologhi del suo villain vestito da cowboy e risulta molto disturbante proprio per il suo essere sottovoce nella violenza. Farmhouse è invece al contrario un film strillato: Bessudo racconta l’incubo dei suoi personaggi senza mezzi termini, non risparmiandoci nè violenza grafica nè nudi insistiti. E così vediamo la protagonista sottoposta prima ad una specie di tortura medioevale dove rischia la morte per soffocamento poi legata ad una sedia e sadicamente grattuggiata fino all’osso della gamba da una fighissima Kelly Hu (ricordate la Kaori di Philadelphia?). Non solo: a un ragazzo sordo viene cavato l’occhio con un coltellaccio e alla bella Kelly viene traforata la testa con uno spuntone. Certo poi il finale ribalta un po’ tutta la storia, ma Bessudo, autore di Lake dead, uno dei peggiori 8 film to die di qualche anno fa, non è certo quello che si dice un virtuoso della macchina da presa. Farmhouse vive una regia incerta, senza neppure quelle intuizioni visive che sono come una buona salsa in un pessimo cibo. Gli attori non aiutano poi, buttati alla mercé di una sceneggiatura che prosegue ad urli o tette della Hu, fanno il loro lavoro, ma è poco se non vengono asserviti da una buona storia. In più il ribaltone finale è così servito male che fa sfociare il tutto nel ridicolo. Discorso diverso per Adam Mason e il suo Blood river. Stiamo parlando d’altronde del regista che ha girato non molti anni fa lo stupefacente Devi’l’s chair, Cioè immaginatevi di avere preso una tranvata in faccia senza motivo e di essere disorientati per molto tempo in un mondo che credevate di conoscere perfettamente. Ecco questo è Devil’s chair. Mason per un’ora e trenta abbondante ci regala uno spettacolo svilente, prevedibile, degno dei peggiori z movie per poi ribaltare il tutto in modo assolutamente geniale. Devil’s chair teorizza in modo non banale sul potere della narrazione, sulla sospensione della credibilità in un film horror creando un’opera di grandissimo spessore camuffata da exploitation di cassetta. Blood river purtroppo non esprime in pieno le sue potenzialità: colpa di problemi con la produzione che si riversano in un montaggio pedestre e in personaggi non sviluppati fino in fondo. Ma è comunque un horror potente, ben scritto, capace di inquietare senza fare uso di violenza insistita o di escamotage disonesti, debitore del cult Dust devil (Demoniaca) di Richard Stanley, ma con una propria identità. Blood river è un film visivamente povero, baciato da una fotografia non eccelsa, ma per assurdo anche le sue mancanze rendono l’opera affascinante, una creatura che cresce visione dopo visione. In qualsiasi caso Blood river e Farmhouse sono due diverse facce di una nuova tendenza che tenta di rendere vivo il torture porn. A voi la scelta poi di quale sia l’approccio giusto al genere. Noi, come avete capito, non abbiamo dubbi. |
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.