Tutto succede esattamente come da pronostici addirittura ben prima di quanto pronosticato, quasi come si avvertisse la fretta di spingere la narrazione fino ad un punto cruciale che nei fatti mai arriva.
Tra l’imminente matrimonio con la bella Rowena e la presentazione del proprio ennesimo successo editoriale, la vita del giovane studioso Johnatan Merrick (Wes Bentley) scorre serena e costellata di successi personali e professionali. Ma a sconvolgere la vita della coppia irrompe la conturbante Ligeia, ammaliante bellezza est-europea condannata da un male incurabile cui il destino ha concesso il dono di rubare le altrui anime per prolungare la propria vita.
Sedotto e sposato il giovane, la donna lo convince a trasferirsi nella magione di famiglia sulle sponde del Mar Morto, dove la discesa verso la follia dell’impotente Johnatan si farà man mano sempre più ripida…
Brutti clienti quelle pulci che periodicamente sussurrano alle orecchie di produttori e registi perlopiù esordienti progetti catalogabili alla voce riadattamento contemporaneo, contraddittorie capriole temporali che spesso e volentieri generano bizzarrie cinematografiche di difficile classificazione, ma molto più spesso arditi, banali abbozzi accomunabili alla categoria film brutti. Per un esordiente regista raccattato nel mucchio come il modesto Michael Staininger mettere mano ad un soggetto orrorificamente nobilissimo come quest’ostico racconto di Poe oltretutto già portato sul grande schermo nel 1964 da un Roger Corman pur non al massimo del proprio fulgore aveva solamente l’apparenza della classica botte di ferro: le fosse cinematografiche sono del resto piene di ottime idee morte d’incuria e trascuratezza. In cima al mucchio, e solamente per una pura questione cronologica, almeno per un po’ metteremmo volentieri questo Ligeia, ammodernamento e rimestamento made in John Shirley del racconto di sua maestà Edgar Allan, a cui, giusto per allargare un po’ il raggio d’azione della pellicola, alle suadenti contorsioni gotiche dell’originale ha ben pensato di sostituire una banalissima storia di seduzioni, tradimenti e morti assortite in salsaccia CG ed affidare lo script al suddetto esordiente, che a prima vista sembrerebbe sfornito sia di arte che di parte.
Poco o niente funziona in questo Ligeia, innanzitutto a livello di casting: il gioco delle parti tra il molle e monoespressivo Wes Bentley – già poco apprezzabile in P2 e qui automaticamente promosso al ruolo di protagonista in funzione del suo ruolo di co-produttore – e l’ex miss Mondo Sofya Skya diventa uno stucchevole gioco delle parti tra Eros e Thanatos all’ingrosso dopo pochissime battute, e ormai non sorprende più scoprirsi ancora una volta buoni matematici nell’azzeccare l’ennesima equazione Michael Madsen-vaccata-di-genere, ma tant’è. Tutto succede esattamente come da pronostici addirittura ben prima di quanto pronosticato, quasi come si avvertisse la fretta di spingere la narrazione fino ad un punto cruciale che nei fatti mai arriva, nonostante una rielaborazione delle tempistiche narrative originali che avrebbe voluto rappresentare l’azzardo su cui costruire la personalità della pellicola. Ma carattere e personalità hanno ben altre forme, certo non quelle precotte e standardizzate sulle quali Staininger ha fondato il proprio lavoro, dannatamente fragile e di maniera e ulteriormente indebolito da una certa qual lentezza spacciata per morbida tessitura di una tela che certo non giova alla salute generale della pellicola. “La sostanza del racconto è fatta del desiderio e del coraggio di sfidare e sconfiggere la morte” dichiarava il regista il fase di promozione; eviteremmo volentieri di investigare ulteriormente sulla sostanziale natura di questo suo ultimo adattamento cinematografico.
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About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.