Erano molteplici i tagli che la parigina Julie Delpy, deus ex machina di questo The Countess, avrebbe potuto dare a quella che è da considerarsi a tutti gli effetti una sua esclusiva creatura.
Nell’Ungheria dei primi anni del XVII secolo, la Contessa Erzebet Bathory, forte di un’intelligenza ardita e di una bellezza fuori dal comune, è senza dubbio la donna più potente del regno, rispettata da tutti e temuta da molti.
Ma quello che si rivelerà essere un complesso intrigo politico porterà alla luce l’unica debolezza contro la quale la Contessa non potrà che chinare il capo sconfitta: l’inesorabile scorrere del tempo. Un tempo che le ruberà senza pietà la bellezza di un tempo, e contro il quale Erzebet prenderà la più folle e disperata delle soluzioni, iniziando a sacrificare giovani e candide vergini convinta che il loro sangue puro possa farle riavere quanto lentamente sfiorito sul suo volto.
Erano molteplici i tagli che la parigina Julie Delpy (2 Days in Paris, Broken Flowers), deus ex machina di questo The Countess, avrebbe potuto dare a quella che è da considerarsi a tutti gli effetti una sua esclusiva creatura, se si pensa che l’attrice ha qui vestito i panni di sceneggiatrice unica, regista ed interprete: tendenzialmente scartata per tradizione interpretativa la deriva più puramente orrorifica e falso-goticheggiante, restavano al suo arco tutta una serie di frecce puntate verso bersagli convenzionalmente drammatici, storico/romanzeschi, più puramente introspettivi ed analitici; sarebbe stato il caso che la regista imboccasse una di quelle strade e la percorresse fino in fondo, piuttosto che fomentare ulteriormente nemmeno troppo velate tracce di megalomania creativa, produttiva ed interpretativa pretendendo di inzuppare il proprio plot di qualsiasi idea pur discordante le passasse per la testa piuttosto che rinunciare a qualcosa, ed infiocchettarlo con un vestitino elegante fatto di raffinate scelte cromatiche e di una regia lenta e misurata. Per buona parte della – lenta, lentissima – proiezione la Delpy sottintende un perché alla vicenda efferata che si è presa la briga di raccontare, salvo poi far abbattere ogni costruzione teorica ad un sacrificato William Hurt (Mr. Brooks, A History of Violence) che, nei panni dell’intrigante nobile Gyorgy Thurzo, getta nuova e contraddittoria luce sulla figura della Bathory, che da virago divoratrice di innocenti anime passa in un attimo alla condizione di vittima altrettanto innocente delle più classiche manovre di palazzo. Una contraddizione resa ancora più evidente dall’esclusiva dedizione rivolta alla protagonista già in fase di scrittura, dove tutti i personaggi di contorno, dal succitato Thurzo di William Hurt all’Istvan di Daniel Bruhl (Inglorious Basterds), spariscono e riappaiono alla bisogna trascinandosi un sapore di bidimensionalità difficilmente digeribile. La forte sensazione che resta è quella che più che una pellicola sul personaggio Erzebet Bathory , Julie Delpy abbia voluto dare vita ad una celebrazione della propria presunta poliedricità, riuscendosi, oltretutto, in maniera decisamente parzialmente.
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About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.