In libreria da marzo, per l’editore Mattioli1885, Come diventare un lupo mannaro di Elliot O’Donnel (1912), con la traduzione e la postfazione di Nicola Manuppelli.
Un profilo storico della leggendaria figura del licantropo, studiata, analizzata e raccontata dal celebre “ghostbuster” irlandese.
Che cos’è un lupo mannaro? Per una domanda di questo tipo nessuna risposta può essere soddisfacente.
Esistono, senza dubbio, innumerevoli punti di vista riguardo a natura e classificazione dei lupi mannari. La loro esistenza è stata messa tanto in discussione e il soggetto è libero di essere interpretato in tanti modi, che cercare di arrivare a una definizione precisa del fenomeno è quasi impossibile.
La parola werwolf (o werewolf) è derivata dalle parole dell’antico inglese ’wer’ (uomo), e ‘wulf’ (lupo), e ha il suo equivalente nel ‘Währwolf’ tedesco e nel ‘loup-garou’ francese, nonostante termini equivalenti si riscontrino anche nelle lingue di Scandinavia, Russia, Austria-Ungheria, Penisola Balcanica, e alcuni dei paesi dell’Asia e dell’Africa; dalla qual cosa si può dedurre che il raggio del fenomeno qui discusso è pressappoco universale.
Elliott O’Donnell (1872-1965) è stato il più grande “ghostbuster” britannico. Era irlandese. La sua famiglia era originaria di Limerick. Proprio nella casa di famiglia dell’anonima città irlandese raccontò di aver visto per la prima volta, all’età di cinque anni, uno spettro. Fu il primo di decine di incontri con il mondo dell’aldilà. O’Donnell non si definiva uno spiritista, anzi era parecchio scettico per quanto riguarda quel mondo. In vecchiaia preferì soprattutto farsi considerare un “cacciatore di fantasmi”, anche se questo, come cercherò di spiegare, apparteneva più che altro a un copione che lo scrittore irlandese amava recitare. Perché O’Donnell, che percorreva anche chilometri e chilometri di strada per andare a visitare una casa con la nomea di essere infestata, era soprattutto uno story-teller.
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