Tim Burton, questa volta, fa il cattivo come non mai.
Tratto da un noto musical di Broadway (a sua volta ispirato ad un racconto del 1846), Sweeney Todd, è un film cupo e nebbioso, una commedia funerea che affonda nel grottesco e nell’orrido mettendo al centro della scena i lati più oscuri dell’essere umano: il rancore, l’odio, la vendetta.
In una grigia Londra vittoriana, puntellata da pochi colori accesi, si consumano vicende inenarrabili, atti efferati e situazioni disgustose ma, come in uno spettacolo grand giugnol d’altri tempi, non mancano i risvolti romantici e divertenti. La mano di Tim Burton si fa sentire pesantemente; questa volta però, il suo tocco, è virato a una tonalità di nero più scura del solito. Benjamin Barker, tornato a Londra dopo anni di prigione scontati a causa di una ingiusta condanna, viene a conoscenza della pessima sorte che è toccata alla moglie e alla figlia durante il suo forzato allontanamento; nell’animo dell’uomo si fa posto un irrefrenabile desiderio di vendetta. Sotto le mentite spoglie del signor Sweeney Todd, Barker intraprenderà una fulminea carriera da barbiere ma, le sua amatissime lame, non taglieranno soltanto barbe troppo lunghe. Aiutato da Mrs. Lovett, che ha un negozio di torte sotto il suo salone, troverà anche il modo per sbarazzarsi dei cadaveri in eccesso.
Tim Burton, questa volta, fa il cattivo come non mai. Tutti coloro che avevano iniziato a temere un precoce ammorbidimento del regista – visto il suo ultimo “live action”, La fabbrica di cioccolato, forse troppo dolciastro per risultare burtoniano al cento per cento – verrano brutalmente consolati da questo Sweeney Todd. Le suggestioni del nuovo Burton, allontanandosi da patinature psichedeliche e fantasie consolatorie, si riavvicinano al dark dei suoi primi lavori (Edward e Sleepy Hollow in primis) e ci sprofondano dentro con decisione. Un sangue rosso fumetto scorre copioso sullo schermo e, per la prima volta nella filmografia di questo scapigliato regista, come protagonista dell’opera vi è un personaggio reattivo: con rabbia e violenza, si oppone al mondo esterno fino a perdere ogni freno. Insomma, Tim Burton ritrova il gusto per il cattivo gusto e questa, per una ciurmaglia di horrormaniaci senza speranza come noi, è una notizia doppiamente positiva. Ma Tim Burton non è il solo artista generoso dello show; particolarmente brillante risulta pure Jonny Depp che, a riposo da maschere troppo ingombranti, non si limita solo a portare a casa una eccellente interpretazione, ma riesce anche ad infondere un pizzico di anima (nera) al suo signor Todd. Inoltre, il lavoro svolto su costumi, luci e scenografie (queste ultime curate dal nostro Dante Ferretti) risulta superiore alla media hollywoodiana: il tempo-luogo che vediamo rappresentato sullo schermo non ha il sapore striminzito del compitino svolto bene, poiché non è semplicemente perfetto e magniloquente ma è anche vissuto, o meglio, vivente. Passiamo ai “dolori”, che risiedono tutti nell’assetto canterino del film. A meno che non siate dei super appassionati del genere musical, vi ritroverete inevitabilmente a vivere con sofferenza i momenti cantati (tuttavia non mancano felici eccezioni). Questo non perché ci siano stonature o brutte prestazioni vocali, ma perché spesso i momenti cantati perforano il racconto in malo modo, bloccando troppo spesso il normale svolgimento degli eventi e rovinando, di conseguenza, il ritmo del film. Tutto questo appesantisce inutilmente una storia che avrebbe meritato uno svolgimento più fluido e fresco, con meno cantato e più recitato. Ma, vista la qualità di tutto il resto, questa “interferenza” si può sicuramente perdonare.
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